Abstract

Il pensiero critico appare oggi, in molti casi, relegato a circolare in luoghi chiusi ed asfittici. Tale condizione sembra risentire di un mancata connessione con l’ambiente che, attraverso le riflessioni di Deleuze e Guattari sulla geofilosofia, verrà definito come il luogo dell’accadere, ossia dell’incontro con il possibile. Mentre i due autori francesi sceglievano di nominare tale connessione – oggi deficitaria – tra il pensiero e l’ambiente “utopia”, l’articolo proporrà di sostituire tale termine con quello di “speranza”: è di quest’ultima che la critica ha bisogno per tornare a respirare. La speranza verrà declinata, in particolare, in chiave postcritica come postura teorica situata nello spazio comune, come domanda aperta ai rischi della contingenza e come affetto performativo capace di una “careful translation” del nostro lessico politico.

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