Abstract
Il presente lavoro prende le mosse da Unspeakable Conversations, un articolo di Harriet McBryde Johnson in cui l’autrice racconta – da persona con un’importante disabilità fisica – del suo incontro con Peter Singer, il filosofo australiano noto anche per aver proposto come eticamente legittima la pratica dell’infanticidio per i neonati con patologie più o meno gravi. In questo saggio vengono messi a tema gli elementi concettuali con cui Singer supporta le sue tesi circa l’eutanasia selettiva: l’utilitarismo delle preferenze come etica normativa, il principio di minimizzazione della sofferenza, il criterio della “qualità della vita” e la nozione di “persona” riformulata in chiave funzionalista. Dopo una breve esposizione di tali assunti, si è proceduto a valutarne la consistenza teorica e a evidenziarne le aporie. L’etica singeriana, in sintesi, risulta incapace di dare conto della complessità dell’esperienza umana in quanto caratterizzata da un’antropologia fortemente riduzionistica, viziata dal pregiudizio nei confronti della disabilità e incapace di comprendere la condizione umana: impostazione che introduce rilevanti conseguenze sul piano etico e sociale.
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