Abstract

This contribution proposes a reading of Guardini’s Das Ende der Neuzeit aimed at revealing the theory of modernity that it presupposes. Guardini embodies a third way between secularization and legitimacy. On the one hand, he recognizes a single sphere of the modern that can be explained with the paradigm of secularization. On the other hand, he empties this paradigm of meaning regarding other aspects of modernity, and this by virtue of an original reading of Christianity as a relationship between Revelation and the world - and not as an immutable and defined conceptual block.

Highlights

  • This contribution proposes a reading of Guardini’s Das Ende der Neuzeit aimed at revealing the theory of modernity that it presupposes

  • Caveat: iltitolo del presente contributo in realtà è troppo ampio, tanto da risultare paradossalmente reticente; una versione più precisa e corretta – ma cacofonica e graficamente sproporzionata – avrebbe avuto una formulazione di questo tipo: secolarizzazione e legittimità dell’età moderna in La fine dell’epoca moderna di Romano Guardini

  • Questa panoramica serve per inquadrare il taglio al cui interno si vuole provare a collocare quella specifica riflessione di Guardini: se nella quarta di copertina dell’edizione italiana La fine dell’epoca moderna viene definito, anche correttamente, come “il libro che ha anticipato l’attuale dibattito sulla post-modernità”, in questo contributo si proverà invece a leggerlo come il libro che si inserisce o si può inserire perfettamente all’interno del contemporaneo dibattito su origine e caratteristiche della modernità e sulla sensatezza e pesantezza di categorie come quella di secolarizzazione

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Summary

L’epoca come immagine del mondo

Pensato come introduzione a un corso su Pascal, La fine dell’epoca moderna, per fortuna, è stato poi pubblicato come testo autonomo – come se Guardini stesso si fosse accorto che le questioni mobilitate in quello scritto meritavano il centro della scena e dell’attenzione. Le immagini del mondo ricostruite da Guardini, cioè, non sono costrutti teorici sopraelevati da cui discendono a cascata effetti e conseguenze per i diversi ambiti di vita; assomigliano piuttosto a logiche condivise, a normalità date per scontate all’interno dei vari ambiti di esperienza, a forme accomunanti: la cosmologia ‘immanente’ della grecità classica – priva di un punto fermo esterno al cosmos da cui osservare la totalità e in cui arrestare il mutamento e il movimento continuo del mondo – assomiglia, è affine al quadro politico di quella stessa epoca, con il suo continuo sorgere e morire di strutture politiche apparentemente disinteressate a darsi una forma stabile nel tempo e a costruire una più ampia unità politica – andando così incontro al suicidio.[1] Questi due poli si spiegano, si comprendono l’un l’altro senza che l’uno sia la causa dell’altro: piuttosto, appunto, condividono la medesima assenza di un’aspirazione al totale e al definitivo; un impensabile nell’immaginario greco che insieme si esplica e si rafforza tanto nella cosmologia quanto nell’esperienza politica. Già da questo elemento si comincia a intravedere il nucleo dell’affaire Guardini, ossia la sua irriducibilità ai due fronti (Löwith vs. Blumenberg) che solo apparentemente esauriscono la discussione sulla modernità

Staticità e movimento delle epoche
Nuove Considerazioni intermedie
Tra secolarizzazione e legittimità
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