Muovendo da un’analisi fenomenologica, l’articolo intende porre una riflessione critica sull’elaborazione giusfilosofica della nozione d’autorità prendendo spunto dal volumetto La nozione d’Autorità di A. Kojève (di cui prima si conosceva l’esistenza solo grazie a una nota presente nell’Esquisse d’une phénoménologie du droit), recentemente rinvenuto. L’autore inizia col fare un’analisi concettuale delle teorie dell’autorità, distinguendo così quattro tipi “semplici” o “puri” (analoghi agli idealtipi weberiani): la teoria teologica o teocratica, secondo la quale l’Autorità primaria e assoluta appartiene a Dio, e tutte le altre ne derivano; la teoria platonica, secondo cui l’Autorità si fonda sulla Giustizia; quella aristotelica, secondo cui appartiene a chi ha il sapere e la capacità di prevedere; infine quella di Hegel che la riduce al rapporto tra Signore e servo (vincitore e vinto), basato sulla lotta, il rischio e il riconoscimento del vincitore come autorità. Di queste, solo l’ultima – scrive Kojève – “ha avuto un’elaborazione filosofica completa, che si sviluppa sia sul piano della descrizione fenomenologica sia su quello dell’analisi metafisica e ontologica, le altre non hanno oltrepassato il livello della fenomenologia”. La radicale finitudine dell’uomo, sulla quale Kojève in definitiva fonda la sua pretesa ateistica e cerca conseguentemente di svincolare dalla trascendenza ogni fondazione dell'autorità, non esclude, però, a parere di chi scrive, la traccia di un ‟antropologia in cui torna ad affacciarsi l’infinito”.