Abstract

Le prime esperienze con i palloni aerostatici dei fratelli Montgolfier, avvenute nel 1783, ovvero negli ultimi anni dell’ormai spirante ancien régime, non mancarono di catturare l’attenzione dell’opinione pubblica: artisti e letterati contribuirono a diffondere la fascinazione per la nuova invenzione grazie alle loro stampe, osservazioni tecniche sul volo, opere letterarie. In Italia Vincenzo Monti celebrerà il «volator naviglio» nella sua ode Al signor di Montgolfier. Un altro letterato, Vincenzo Lancetti (1766-1851), membro dell’Accademia dei Trasformati, allievo di Giuseppe Parini e in rapporti con lo stesso Monti, Ugo Foscolo, Carlo Porta, dedicherà all’ascensione aerostatica un intero poema, l’Areostiade (1803). Questo intervento si propone di leggere il poema lancettiano prestando particolare attenzione alle scelte stilistiche dell’autore, che dimostra di saper trattare le conquiste dell’immaginario e del progresso guardando anche alla tradizione classica, utile serbatoio di immagini mitologiche e modello formale per i momenti più alti dell’opera.

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