Abstract

Le moderne tecniche di fecondazione assistita ed in particolar modo la pratica della c.d. maternità surrogata, hanno, negli ultimi anni, determinato una serie di implicazioni morali, sociali e giuridiche che sono arrivate a coinvolgere non più soltanto il problema della paternità del figlio nato con procedimenti diversi da quelli naturali, ma anche quello della maternità.
 Il 14 febbraio 2000 un Giudice del Tribunale di Roma XI Sez. Civile ha emesso un’ordinanza con la quale ha autorizzato un medico ginecologico, nonostante il divieto previsto dal Codice Deontologico, a trasferire gli embrioni crio-conservati, ottenuti mediante fusione dei gameti dei due coniugi nell’utero di un’altra donna che si è offerta spontaneamente e gratuitamente di portare a termine la gravidanza. Contro questo ordinanza, hanno presentato ricorso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri. Il 30 marzo, tuttavia, il Tribunale di Roma XI sezione Civile ha giudicato inammissibili i ricorsi, confermando di fatto l’efficacia dell’ordinanza.
 Gli autori ripercorrono la vicenda giudiziaria per discutere la delicata problematica del fenomeno della surrogazione di utero, analizzando il contenuto dell’ordinanza e affrontando gli aspetti medico-legali, alla luce della dottrina, della giurisprudenza e della bioetica in materia, sia italiana che straniera.

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