Abstract
The subaltern has frequently been understood as a figure of exclusion, and as the specular opposite of the figure of the citizen. This understanding derives from the Subaltern Studies collective’s creative reading of partial English translations of Antonio Gramsci’s carceral writings. In this article, I argue that a contextualist and diachronic study of the development of the notion of subaltern classes in Gramsci’s full Prison Notebooks reveals a very different understanding of the constitution of subalternity. In particular, the notion of “subaltern capacity”, the dialectical nexus of hegemony and subalternity, and the figure of the “citizen sive subaltern” are proposed as ways of comprehending the contradictions that define the modern citizenship itself as a process of “subalternization”.
Highlights
The subaltern has frequently been understood as a figure of exclusion, and as the specular opposite of the figure of the citizen
Come Gramsci scrive in una nota da agosto 1930, se l’unità delle classi dominanti si trova nello stato e nella sua storia, “risultato delle relazioni tra lo stato e la società civile”, la storia delle classi subalterne invece si intreccia con quella della “società civile”, è una frazione disaggregata di essa.[18]
“Scattered speculations on the subaltern and the popular”, Postcolonial Studies 8,4 (2005): 475–86
Summary
Chatterjee, Politics of the Governed; Beasley-Murray, Posthegemony; Spivak, “Can the Subaltern Speak?” 2 Una discussione italiana sulle classi subalterne e sui concetti correlati, in particolare il “popolare”, ebbe luogo alla fine degli anni ‘40 e all’inizio degli anni ‘50, coinvolgendo, tra gli altri, De Martino, Luporini, Fortini e Cirese, ma non riuscì a trovare un pubblico internazionale più ampio all’epoca. Nel rivedere un testo originariamente redatto prima dell’incontro con il collettivo dei Subaltern Studies, Spivak sosteneva che il subalterno non solo era privato della capacità di parlare da parte dell’ordine dominante, ma anche che il subalterno era definito dalla sua esclusione dalla rappresentazione in quanto tale, in senso sia politico sia estetico.[6] Come un limite non rappresentabile di forme di dominio culturale, sociale e politico, “rimosso da tutte le linee di mobilità sociale”, il subalterno sembrava essere una categoria adatta ad analizzare e problematizzare le esperienze di individui e gruppi emarginati, e oppressi, in particolare in contesti coloniali e postcoloniali.[7]. I gruppi sociali subalterni sono rappresentati nei Quaderni del carcere come integralmente e attivamente integrati all’interno delle relazioni egemoniche di ciò che Gramsci definisce lo “stato integrale” borghese. Proporrò una breve ricostruzione dell’inizio dello sviluppo del tema della subalternità nei Quaderni del carcere e quindi, su questa base, considererò tre modi in cui questa lettura ci consente di ripensare i fondamenti della cittadinanza moderna come processo di “subalternizzazione”
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