Abstract

Durante il Ventennio fascista, Arturo Bocchini, capo della polizia, esercitò un ruolo di patronage nei confronti della provincia di Benevento, della quale era originario, agendo da mediatore tra le istituzioni locali e gli organi nazionali. Tra il 1928 e il 1929 Bocchini mise sotto il proprio controllo le istituzioni locali, compreso il Pnf, facendo nominare persone fidate ai loro vertici. Fino alla metà degli anni trenta esercitò un'egemonia pressoché incontrastata; in seguito dovette scendere a compromessi con il partito, che negli anni della segreteria di Starace era meno disposto ad accettare il patronage del capo della polizia e manifestava una presenza sempre più invasiva nella società. Ciononostante, Bocchini continuò ad avere un ruolo di primo piano nella politica beneventana. La sua egemonia era ancora più pervasiva nell'area intorno a San Giorgio del Sannio, suo paese di origine, che era amministrata da lui e dalla sua famiglia quasi come una proprietà privata. La vicenda di Bocchini è un caso peculiare della dialettica tra Stato e partito che, com'è noto, durante il Ventennio provocò contrasti in molte province.

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