Abstract

L’opera 4’33” di John Cage può essere letta come un tentativo di dissacrare lo spazio dell’ascolto attento della musica “colta” attraverso l’eliminazione del “suono” in un luogo in cui paradigmaticamente si punta a ridurre il “rumore”. Il setting delle storie di vita viene costruito come un luogo “del silenzio”, in cui la predisposizione tecnica e l’abilità dell’etnografo concorrono alla riduzione dei rumori di fondo e dei disturbi. Il silenzio in etnografia non può, tuttavia, essere letto soltanto come una assenza di comunicazione, per quanto “significativa” (Basso 1970), ma come un campo da esplorare anche uditivamente, che lascia emerge soundscapes e segnali corporei. A partire dalla sfida della sensory ethnography come contributo alla «risensibilizzazione» dell’antropologia (Herzfeld 2006) l’articolo presenta un frammento di storia di vita di Giovanni, anziano minatore sardo. La descrizione etnografica si concentra sulla voce di Giovanni e sull’intero spettro sonoro del luogo e dei corpi presenti, registrati tramite una videocamera. Il «silenzio pieno di rumore» (Cage 1977: 221) che emerge dall’“ascolto differito” del video consente di offrire una maggiore densità alla rammemorazione e al racconto di Giovanni.

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