Abstract

La “controversia sugli Yanomami” ha investito questioni centrali, tanto epistemologiche quanto etiche e politiche, per la disciplina e la pratica dell’antropologia, riguardando in particolare l’etica della ricerca sul campo; il modo di impiegare i dati di ricerca per sostenere determinate ipotesi teoriche; i rapporti tra popolarizzazione e politicizzazione delle ricerche e, più in generale, la responsabilità degli antropologi rispetto sia agli usi dei loro studi nella sfera pubblica sia nei confronti dei soggetti umani con cui lavorano. In quest’articolo esamino alcuni momenti chiave della “controversia”. In particolare provo a ricostruire il modo in cui si è inizialmente consolidata, dentro e fuori l’antropologia, l’immagine degli Yanomami come “ultima società primitiva” mettendo a confronto le etnografie di Chagnon e Lizot. Nello scritto pongo in particolare rilievo anche i diversi modi con cui gli etnografi hanno marcato testualmente il loro posizionamento sul campo come “prova” dell’“autenticità” delle loro rappresentazioni del mondo yanomami. Nell’ultima parte, riassumo gli effetti che nell’antropologia statunitense ha avuto la “tempesta mediatica” suscitata dalle accuse di comportamenti eticamente inappropriati, quando non del tutto esecrabili, rivolte a Chagnon e Lizot in Darkness in El Dorado, il libro-reportage del giornalista free-lance Patrick Tierney.

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