Liberi di rischiare. Vecchi e nuovi lavoratori autonomi

Abstract

Il lavoro autonomo e tornato recentemente al centro dell’interesse di economisti e sociologi, dopo che i dati europei hanno rivelato come la crescita degli occupati in proprio nei settori extra agricoli ha rappresentato il fenomeno nuovo e per molti aspetti inatteso del mercato del lavoro degli anni ’80. Per molto tempo infatti ogni forma di impiego non conforme al modello del rapporto di lavoro dipendente, salariato-fordista, era stato interpretato come un segnale di arretratezza e tradizionalismo, mentre il calo che il lavoro autonomo aveva conosciuto sino agli anni ’70 contribuiva a confermarne una lettura in termini residualistici. A rivitalizzarlo, e con esso l’interesse per il tema, e stato l’aumento costante della disoccupazione europea e la parallela aspettativa che un rimedio ad essa potesse trovarsi nell’autoimprenditorialita e nella capacita occupazionale delle piccole e piccolissime imprese, favorite dal contestuale mutamento delle strutture economico-produttive e dallo sviluppo dell’economia dei servizi. Per quanto i tassi di crescita del lavoro autonomo si siano assestati nel corso degli anni ’90, il dibattito attorno ad esso e continuato coinvolgendo soprattutto economisti del lavoro e sociologi. I primi tendono a leggere la diffusione del lavoro indipendente in funzione della rigidita del mercato del lavoro, cioe del grado di protezione del lavoro dipendente dai rischi di licenziamento individuale, confortati in questa lettura dall’associazione riscontrabile a livello macro fra indici di rigidita del