Abstract

La medicina contemporanea finisce per relegare a minus ciò che non è in grado di combattere la causa della malattia. L’esperienza delle cure palliative pediatriche si contrappone a questo, mettendo al centro della medicina il prendersi cura. Gli autori delineano un percorso etico che porta ad un nuovo concetto di qualità di vita, a partire da virtù e valori etici: pallio, compassione, speranza e tempo. Laddove l’inguaribilità schiude le porte al curare pur senza guarire, la dimensione umana della persona nelle relazioni ritrova la sua collocazione preminente. Il pallio rappresenta la volontà di porre al centro il malato, la vita relazionale nella sua globalità garantendone il rispetto della sua dignità; il pallium copre la sua nuda condizione di sofferenza nella fase ultima della vita. La compassione diventa “sentire” l’altro riconoscendolo nel luogo del suo dolore, anche nelle situazioni in cui la relazione è necessario superi i limiti del “verbale”. La categoria della speranza è più chiara, preservando dal rischio di delusioni che nascono da una cultura che attribuisce alla medicina una illusoria onnipotenza. Nessun rischio di sconfinare in un abbandono terapeutico, piuttosto si apre una nuova prospettiva del tempo della vita: non più una inesorabile sottrazione di vita (chronòs), ma l’occasione propizia di valorizzare il tempo della vita attraverso la relazione (kairòs). Gli autori ridefiniscono il criterio qualità di vita in qualità delle relazioni della vita opposta all’individualismo e alla conseguente solitudine del malato, che orienta le scelte terapeutiche verso una cura olistica della persona e non solo della malattia.

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