Abstract
In his reflection on the nature of evil, the Neoplatonic philosopher Proclus affirms that evil itself (to autokakon) is “also beyond the absolute non-being” (epekeina kai tou mēdamōs ontos). With this assumption, he intends to reinforce the thesis of the non-existence of absolute evil, conceived as totally separate from good, and contrasted with the collateral and parasitic existence of evil mixed with good. He thus maintains a distinction between absolute evil and relative evil, conceived with reference to the distinction between absolute non-being (i.e., nothingness) and relative non-being. In Proclus, the thesis of the non-existence of absolute evil is presented as a necessary consequence of the non-dualist theory of evil in the sphere of a protology that identifies the first Principle of all things in the primary Good (identical to the supra-essential One), and which aims to reconcile the absolute primacy of the latter with the presence of evil in some orders of reality.
Highlights
Tra le cose esistenti[1]
Infatti, il male assoluto è accostato al nonessente assoluto, cioè al nulla; per altro verso, il male commisto al bene è pensato, a suo modo, con riferimento al non-essente relativo, visto, oltre che nel suo generico statuto esistenziale, nella sua specifica articolazione tipologica consistente nella privazione
Va notato che in questo caso il male è assunto in termini ancora indifferenziati, a prescindere dalla distinzione tra il male puro e il male commisto al bene, la quale sarà stabilita successivamente come elemento dirimente per la soluzione della questione posta
Summary
Secondo la mia comprensione, la divisione del bene commisto ad altro (b2) nel bene non mescolato alla privazione (b2.1) e nel bene mescolato alla privazione (b2.2), se qui s’intende la privazione come privazione (parziale) di bene e dunque come male, permette a Proclo, oltre che d’inquadrare il male in termini che a loro modo rimandano alla privazione, anche di stabilire una distinzione, nell’ambito delle realtà derivate dal bene primo, tra ordini in cui il male è totalmente assente e ordini in cui si riscontra il male, distinzione funzionale a confinare quest’ultimo nei soli gradi ipostatici inferiori del reale. In quest’ultimo caso, infatti, sul piano metafisico, il male commisto al bene sarebbe pensato anch’esso come non esistente e finirebbe in ultima istanza per coincidere con il male in sé; così, insomma, si annullerebbe la distinzione tra il male relativo-paripostatico e il male assoluto-anipostatico, con la riduzione del primo al secondo, e si cadrebbe in quella stessa tesi della non. Infatti, il male è concepito come un aspetto necessario che sul piano cosmologico concorre a configurare la perfezione del mondo fisico, e in una più ampia ottica metafisica concorre a determinare il rango e la funzione causale degli ordini divini, come anche l’articolazione gradazionale della realtà[42]
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