Abstract

Riassunto L'articolo prende spunto dalla vicenda della jungle di Calais per interrogare i margini e le condizioni di un agire migrante nell'orizzonte europeo. Riferendosi al celebre articolo di Spivak “Can Subaltern Speak”, il contributo vuole considerare il processo di neutralizzazione (giuridica e esistenziale) che investe il migrante nelle sue varie fasi e situazioni di accesso alla società di “accoglienza”, e il suo impatto sulla soggettività migrante, prima di illustrare alcune declinazioni di un agency che cerca di smarcarsi rispetto al dispositivo in essere.

Highlights

  • La jungle di Calais Nel corso di un intervento presso una scuola per operatori sociali di Lille (IRTS) per presentare una ricerca sulla nozione di città-rifugio come modello

  • Preferibile perché, a dispetto del relativo isolamento e della ghettizzazione dell’agglomerato “extra” urbano[6], sorto in uno spazio acquitrinoso periferico, che raccoglieva migranti di provenienze diverse, in condizioni amministrative diverse e con percorsi diversi, la jungle era diventata un luogo di socialità, dove una comunità eterogenea, precaria e marginalizzata si ritrovava, si organizzava, e tentava di perennizzare un‘installazione, di costruire uno spazio abitabile, vivibile, in un orizzonte di esclusione[7]

  • Organizzazione, visibilità in un orizzonte precario tentativi, tenendo presente la complessa articolazione della concatenazione di situazioni locali in un orizzonte/traiettoria; significa distinguere tra produzione di invisibilità o al contrario esibizioni strumentalizzate dal sistema o da altri attori in campo, e strategie di presenza, di agire minoritario, di “divenire invisibile”, o al contrario di sovraesposizione, di esibizione e di rivendicazioni di presenza sviluppate e integrate dalle soggettività migranti; significa infine considerare una dinamica che delinea forme nuove di organizzazione, in cui soggettività e collettività si intersecano in un orizzonte in cui gli stessi parametri della presenza e dell’azione non possono ridursi alle condizioni locali, ma vanno inscritte in una geografia più ampia di approccio alla spazialità, alla libertà di movimento o alla libertà, come nel caso di Calais, di restare dove ci si trova e di operare attivamente per rendere questa presenza umanamente prima ancora che giuridicamente degna e legittima

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Summary

Produzione di passività

Soggiacente all’idea che l’ingerenza dell’umanitario (la sua governamentalità) sia funzionale (e strumentale) alla neutralizzazione di elementi di crisi (reale o potenziale) e all’organizzazione/gestione controllata di una realtà a partire da un modello “imposto a fin di bene”[12] come nella migliore. Se questa negazione del soggetto “di diritto” risulta flagrante e problematica, e giustifica un’attenzione particolare da parte di associazioni e società civile (Asgi, Naga, Gisti, HRW), è chiaro che una riflessione sulla soggettività migrante e le sue potenzialità operative, la sua agency[20], individuale o collettiva, deve integrare la dimensione giuridica del diritto negato in uno spettro più ampio, che non sia quello della sola legalità, ma si estenda ad una rivendicazione di legittimità. Il che vuol dire considerare non solo i limiti, le restrizioni e le condizioni ad una presenza “legale” sul territorio (il diritto di esserci), ma anche il funzionamento del dispositivo di desoggettivazione e di “depersonalizzazione” operativo e organizzato per inibire e neutralizzare quelle che potremmo considerare le “condizioni di agentività” della soggettività migrante (la possibilità e la modalità dell‘esserci)[21].

Atti di presenza
Agire sovversivo
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