Abstract

Dal momento che la tecnica dialitica è oggi altamente perfezionata e sofisticata, rimangono due punti essenziali: a) la sopravvivenza non è più abbastanza e b) i problemi bioetici innestati a ventaglio richiedono risposte circostanziate adattate al singolo dializzato. È questa una nuova sfida al nefrologo del XXI secolo. Nell'era pre-fisica della medicina non esistevano categorie bioetiche, anche se da una parte si poneva il Medico con le sue competenze e, dall'altra, la Malattia, ma il Malato (terza componente o terza M del triangolo di Ippocrate) era escluso da ogni decisione. Nell'era fisica che si caratterizza per l'uso degli strumenti sensoriali (vista, tatto, udito e fiuto), il medico è fisicamente vicino al malato ed è abbozzata una sorta di pre-etica clinica. Nell'era attuale o strumentale, l'apparecchio diagnostico o curativo si inserisce tra il Medico e il Malato, che rimane estraneo al processo del recupero della salute. Per questo sono richieste alte dosi di bioetica, volte a preservare la dignità del paziente, a garanzia del rispetto, del suo best interest e del suo bene. A rendere più cogente l'impegno del nefrologo è l'alleanza con il paziente per superare quello che è definito il fattore M (o quarta M, per distinguerla dalle tre classiche del triangolo di Ippocrate), nel quale convergono, oltre alle problematiche strumentali del dializzatore, le nuove componenti del sapere medico, come la politica e l'economia sanitarie, l'organizzazione dei servizi, l'epidemiologia e la medicina difensiva. (Bioethics)

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